Quattro paesi, secondo recenti
studi archeologici,
costituiscono i primi
insediamenti umani della zona:
Pignone, Suvero, Torza, e
Zignago. L’etnia dei Briniantes
testimonia che questo territorio
affonda le sue radici
addirittura nella storia
preromana (ipotesi che può
eventualmente trovare conferma
nelle terminazioni -asca, -asco
dei nomi delle località attorno
a Varese). Successivamente, la
parte più alta della Valle
divenne zona bizantina e dalle
cartine della Liguria del tempo
ci si accorge che il confine (limes)
passava esattamente sulla
direttrice Varese-Cento Croci.
Il monte Zatta e il monte dei
Greci (quest’ultimo risulta
essere il nome con cui era
sempre stata conosciuta la
dorsale che dipartendosi dal
monte Zatta arriva a Cento
Croci) costituivano al tempo
un’indispensabile riserva di
legname per la costruzione delle
navi destinate al porto di
Chiavari. Anche la toponomastica
delle località circostanti
permette di dare credito agli
studi che sostengono le radici
bizantine della regione, ad
esempio: Baselica è un toponimo
indubbiamente bizantino, un
quartiere di Varese (Grexino)
già dal nome lascia intuire un
collegamento con i Greci e,
infine, lo stesso castello di
Varese si erge sui resti di un
antico castrum romano.
Gli antichissimi titoli di San
Michele e l’abbazia di Brugnato,
direttamente collegata a Bobbio
e a San Colombano, ci danno
ragione anche della dominazione
longobarda, che in questa
regione si avvicendò a quella
bizantina. Tutte le terre della
riva sinistra del Vara,
addirittura oltre il valico di
Cento Croci sulla direttrice
montana che porta a Bobbio,
appartenevano, infatti, alla
diocesi di Brugnato. Da un
singolare documento di
compravendita risalente all’anno
850 d.C. scopriamo come si fosse
poi passati dalla dominazione
longobarda a quella franca: la
principessa longobarda
Andrevenga, padrona di parecchi
territori della sponda destra
del fiume e degli accessi del
Velva e dello Zatta alla valle,
aveva, infatti, ricevuto dei
soldi dal franco Ghiello come
compenso per terreni ceduti tra
Cassego e Castiglione
Chiavarese.
Le prerogative degli abati e dei
vescovi di Brugnato si
rinsaldarono in epoca feudale,
periodo che vide però anche
l’arrivo, attraverso i territori
di Andrevenga, dei Fieschi
nell’alta valle; e fu subito
divisione, ancor più consolidata
tra XI e XIII secolo. Ad
esempio, a Varese i Fieschi
predominarono sui Pinelli, si
crearono però contrasti con i
Landi che agognavano uno sbocco
sul mare: fu questo il periodo,
tra XII e XV secolo, della
costituzione di una cerchia
difensiva atta a controllare
tutte le possibili vie d’accesso
alla zona di Varese. Non mancano
certo nomi di territori
fortificati: Cornaredo, Castel
Vecchio, Castel Nuovo, Panesale,
Torricella e Montetanano
(quest’ultimo costituiva senza
dubbio l’opera difensiva di
maggior solidità, i cui resti
sono tuttora visibili). I
Fieschi mantennero il loro
dominio sui Landi sino al 1547,
anno della fallita congiura
contro i Doria, anche se la
piazza di Varese rimase, in
seguito ad un matrimonio, sotto
il controllo di un Landi per ben
sei anni; in quel lasso di
tempo, tra il 1472 e il 1478,
venne anche aggiunto al castello
quello che è ancora conosciuto
come Torrione Landi.
La diocesi di Brugnato, nata nel
1133 e promossa poi a sede
vescovile grazie all’opera di
San Bernardo, vide i suoi
confini estendersi sino a Sestri
Levante e Pontremoli e
rappresentò per ben sette secoli
un forte centro di unificazione
religiosa, civile e culturale
per un vasto territorio che
partendo dal mare, attraverso
l’Appennino ligure, giungeva
addirittura sino all’Appennino
toscano. Ma un’inarrestabile
decadenza colpì poi anche la
diocesi di Brugnato in seguito
alla Rivoluzione francese e alle
vicende napoleoniche:
l’autonomia venne meno e
l’unione alla diocesi di Luni
risultò inevitabile.
Nel ’500 nacquero poi le
comunaglie, a pascolo o a bosco,
terre comuni messe a
disposizione dai signori locali
in cambio di un esiguo pagamento
e che potevano essere utilizzate
dalla comunità dei residenti. Al
tempo si cercava di incoraggiare
gli insediamenti sulle pendici
montane ai confini della valle,
per questo motivo le terre
comuni coincidevano con quelle
zone, di modo che i residenti le
rendessero fortificate e ne
facessero dei baluardi
difensivi. Ma l’importanza di
queste terre non fu solo questa:
con una forma di esercizio
democratico i cittadini si
abituavano al significato della
gestione collettiva delle
risorse. Inoltre, contadini e
mezzadri godevano in questo modo
della possibilità, trasferendosi
in questi territori, di evitare
le vessazioni operate dai grossi
proprietari terrieri (questo è
anche uno dei motivi per cui la
proprietà fondiaria in valle
risultava minore rispetto alle
valli vicine).
Ma nell’800 cominciò per la
valle un periodo di
emarginazione, si risentì
infatti della giurisdizione
ecclesiastica lunense e dello
sviluppo militare della Spezia.
Varese si ridusse a dipendere da
Chiavari e poco si fece
attendere anche l’inserimento
nella relativa diocesi.
L’economia del borgo era
artigianale e il livello di
professionalità molto elevato.
Alcuni prodotti di falegnami e
fabbri sono ancora visibili
nelle case e nelle chiese, ma
l’attività sicuramente più
inflazionata e rinomata era
quella dei calzolai, sempre
pronti a comparire pubblicamente
in occasione di feste come
quelle in onore di San Crispino
o della Natività di Maria.
Tenendo conto dell’elevato
traffico viario, la cittadina
aveva sviluppato una fitta
struttura di servizi di sosta
(locande popolari, veri e propri
alberghi, alloggi per gli
animali, ecc.); non
dimentichiamo inoltre che questo
brulicare di persone e attività
alimentava anche una consistente
vivacità culturale.
Mentre fino alla fine del XVI
secolo massicce immigrazioni da
parte della Lombardia
risultavano necessarie per
bilanciare lo spopolamento
causato da continue epidemie,
dalla metà del secolo successivo
la valle andò incontro ad un
incremento demografico al quale
le risorse locali non riuscivano
ad adeguarsi. Da ciò derivò un
flusso migratorio attuatosi in
vari modi: a scadenze stagionali
(le donne partivano per la
pianura padana cariche di canapa
grezza e tornavano con il
filato) o annuali (era questo il
caso del piccolo commercio).
Cucitrici, merciai,
ammaestratori di animali,
venditori di immagini sacre:
c’era un po’ di tutto. Il lavoro
sicuramente più tipico era però
quello dei ghitti, mezzo attori,
mezzo imbroglioni. Per le
Americhe si partiva sin dal ’700
e nel 1830 troviamo già diffuso
in America meridionale il nome
Juan, risultato della permanenza
in quella regione di persone
chiamate Giovanni. L’intento con
il quale si partiva non era di
accumulare grandi fortune ma di
racimolare i soldi per pagare i
debiti contratti o per
acquistare piccoli poderi tali
da permettere la conduzione di
una vita più agiata, senza
grandi trasformazioni
economiche. Il secondo
dopoguerra portò poi ad una
forte emigrazione lavorativa
anche verso Belgio, Francia e
Germania e al trasferimento
massivo di interi nuclei
familiari verso città e coste,
movimento arrestatosi solo negli
anni ’80. |