Settant’anni fa la “battaglia di Buto"

 
 
Ormai la guerra stava terminando e i tedeschi probabilmente stavano pensando al modo migliore di ritirarsi, quando decisero di compiere, assieme ai loro alleati italiani, un’ultima puntata su Buto dove sapevano esservi i partigiani. Il 21 marzo 1945 alcune centinaia di soldati tedeschi e alpini della Monterosa raggiunsero il paese di Buto dove furono fermati dal fuoco dei partigiani. Nella sera, approfittando della nebbia, riuscirono a ritirarsi portando con loro alcuni morti e diversi feriti. Anche una donna di Buto rimase ferita gravemente.
Dal libro “Buto (nell’Alta Val di Vara). La storia il folclore e…”, edito da ButoCultur@ nel 2002, sono tratte alcune testimonianze sul tragico accaduto:
La testimonianza di Maria Luisa Biasotti della Suia: <il 21 marzo 1945 mia madre, che si stava recando alla Chiesa perché in quel periodo, tutti gli anni, venivano i confessori, vide per prima la colonna di uomini che salivano, a due a due, dal Carmo verso il paese e corse ad avvisare i partigiani che si trovavano al Piano. Questi presero una mitragliatrice e spararono verso la colonna di uomini, tenendo così bloccati gli alpini della Monterosa che risposero ai colpi. Sentivo le pallottole sorvolare la casa. Le pallottole colpirono anche le campane del campanile di Buto sul quale erano saliti alcuni osservatori che esploravano il territorio col binocolo. La battaglia durò tutto il giorno. Fu ferita gravemente al ventre una donna del paese e alcuni alpini furono portati, morti o feriti, via sui muli>. Lo stesso episodio è stato ricordato da Rino Ronconi: <di mattino presto la gente del paese di Buto si andava a confessare (c’erano i confessori; il prete di Buto si faceva aiutare da quelli di Costola e Teviggio per preparare i riti della Santa Pasqua). Verso le otto di mattino una staffetta di Buto avverte che sulla Costa dei Lazzini c’è un plotone di alpini che salivano, si diceva, per bruciare le case di Buto. I vecchi ed i bambini sono scappati nascondendosi nelle stalle, cantine e nei boschi. La Lice, mia futura moglie, che all’epoca aveva undici anni, mentre correva nei «Matelin» verso casa, fu notata dagli alpini che pensarono che stesse per andare ad avvertire i partigiani e le spararono con la mitragliatrice. Lei sentiva le pallottole che fischiavano sulla sua testa e vedeva che colpivano i sassi ed il tarso. Attorno alla sua casa alla Focetta scoppiarono anche cinque bombe di mortaio. Subito dopo le postazioni dei partigiani in località Piano e Possessione della Chiesa e Costa sopra la Chiesa, hanno cominciato a sparare. Il deposito delle munizioni era in «Resseccu», vicino a Pian di Lago. Verso sera si è aggiunta la batteria che era in Lavagello e gli alpini, al buio, si ritirarono. Sembra che avessero avuto alcuni morti e una donna del paese restò ferita. Quel 21 marzo 1945 rimarrà giornata memorabile per i butesi. Io ero al pascolo con la mucca e l’asina in località Ruffino di sotto e da lassù vedevo e controllavo la situazione. A sera, dopo il tramonto, sono tornato a casa col bestiame; subito alcuni partigiani si sono presentati con sten e bombe a mano e si sono portati via tre pecore, lasciando un buono che poi non è stato mai pagato>. Anche Ermindo De Vincenzi fornì informazioni sull’accaduto: <in quel giorno eravamo in Chiesa dove c’erano i confessori. Non appena fummo avvisati che un gruppo di alpini della Monterosa si stava avvicinando, scappai e mi diressi verso «Mes’ceiu». Intanto sopraggiunsero i partigiani che erano stanziati a Groppo portando un mortaio. Sparai anch’io qualche colpo ed i proiettili finirono nel campo dove ora c’é il gioco del pallone. Verso sera volevo andare a parlamentare col nemico ma gli amici mi dissuasero. Alla fine gli alpini si ritirarono portando con loro sui muli diversi morti e feriti.
Sergio Gabrovec
 

 

 

 

  


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