A nome del Comitato
organizzatore delle celebrazioni
per il trecentocinquantesimo
anniversario della parrocchia di
Buto che festeggiamo in questi
giorni, il cui presidente è
Ivano Biasotti, porgo un
caloroso saluto agli illustri
ospiti che ci onorano con la
loro presenza.
Oggi vogliamo ricordare il
felice incontro di Buto con la
Diocesi di San Miniato, con due
suoi figli, il sacerdote don
Giovanni Casini e il vescovo
monsignor Ugo Giubbi.
Infatti, 75 anni fa, proprio nel
mese di agosto, il vescovo di
quella diocesi, venne a Buto
chiamato dall’Economo Spirituale
don Giovanni Casini.
Questo sacerdote era nato il 19
aprile 1876 a Castelfranco di
Sotto, parrocchia proprio della
diocesi di San Miniato, comune
in provincia di Pisa. (Per
curiosità ho approfondito le
notizie su questa località. Il
paese, situato tra Pisa ed
Empoli, fu costruito attorno
all’anno mille dagli abitanti
della zona per sfuggire ai
contrasti tra Pisa, Lucca e
Firenze, munendolo di
fortificazioni e affrancando di
gravami fiscali chi vi andasse
ad abitare, da cui il nome
Castelfranco.)
Don Casini, figlio di Francesco
e di Maddalena Gazzini, fece il
suo ingresso nella parrocchia di
Buto il 5 novembre 1931.
Era il 32° sacerdote chiamato ad
amministrare questa parrocchia
dalla sua seconda autonomia.
Nel 1657, infatti, la parrocchia
di Buto fu separata da quella
del confinante paese di Costola
da un decreto sottoscritto dal
vescovo e conte di Brugnato
monsignor Giovanni Battista
Paggi. In questo periodo stiamo
proprio festeggiando quella
ricorrenza. Da quella data
abbiamo una considerevole
quantità di documenti, compresi
i registri parrocchiali, che ci
hanno consentito di ricostruirne
la storia in dettaglio e di
riportarla in un nuovo libro che
abbiamo chiamato “Buto in
cammino”.
Ho detto seconda autonomia in
quanto la parrocchia di Buto
sorse nel XII secolo e sino al
XV godette della prima
autonomia. Tracce di presenza
del cristianesimo nella zona sin
dall’ottavo secolo si trovano
tra le pietre della Chiesa e del
campanile.
Dal 1657 al 1931, 31 parroci
precedettero, pertanto don
Casini, e questo sacerdote, fu
chiamato a Buto ad amministrare
la parrocchia, provvisoriamente,
in attesa della nomina del
parroco titolare. Era stato
preceduto dall’altro Economo
Spirituale don Ismaele Ghio, ma
soprattutto da don Giovanni
Bertoni, che aveva ottenuto nel
1923 l’elevazione della
parrocchia a Prevostura e al
quale è stata dedicata la strada
che porta dalla Chiesa al
cimitero.
Nonostante il breve periodo di
ministero a Buto, due anni e
otto mesi, don Casini incise
fortemente sul paese, in quanto
fu promotore di varie iniziative
religiose e dimostrò una
capacità organizzativa e
decisionale veramente notevole.
Sotto il governo di don Casini,
tra l’altro, fu ampliato il
Camposanto e furono fuse le
nuove campane e, come si legge
nelle “Memorie”: “fu posta opera
efficace perché Buto fosse
dichiarata sede dei corsi
preliminari, evitando così che i
nostri giovani si dovessero
recare a San Pietro Vara ogni
domenica con evidente danno
economico ed evidentissimo danno
in fatto di pratiche cristiane”.
Egli istituì la pratica del
primo venerdì di ogni mese in
nome del SS. Cuore di Gesù; e la
Messa da celebrarsi il primo
lunedì di ciascun mese per le
anime del Purgatorio nella nuova
cappella del cimitero.
La sua forte personalità, che
gli creò delle difficoltà da
parte di alcuni parrocchiani,
emerge dalla lettura delle
Memorie e in particolare in
occasione dei lavori per
l’ampliamento del camposanto e
poi in occasione della fusione
delle 5 nuove campane avvenuta
nel 1933 sul piazzale antistante
la Chiesa.
Trovato il cimitero in
deplorevoli condizioni e la
pratica burocratica iniziata dal
suo predecessore ancora giacente
negli Uffici del Comune di
Varese Ligure, don Casini volle
scendere subito ai fatti. Egli
scrive “la domenica successiva
alla mia venuta dissi al popolo
che il camposanto doveva essere
ad ogni costo messo in ordine”.
Subito dopo “ne parlai al
Podestà di Varese Ligure il
quale approvò il progetto e
diede il sussidio di 4.000 lire,
poi divenuti 6.000 lire”. Quando
iniziarono i lavori, don Casini
chiamò il popolo alla raccolta e
chiese la sua prestazione
d’opera gratuita. Diede
l’esempio adoperando il picco e
la zappa e gli altri lo
seguirono.
Per le nuove campane, don Casini
scrisse al Duce una lettera
(facendola sottoscrivere da
tutti parrocchiani) chiedendo di
poter disporre di cannoni
residuati di guerra da fondere
per ottenere il bronzo
necessario per le campane; avuta
risposta negativa (non vi era
più materiale bellico
disponibile) fece acquistare a
Genova tutto il necessario;
coinvolse emotivamente tutto il
popolo di Buto, uomini, donne e
bambini, che trasportarono il
materiale a piedi dalla strada
carrozzabile a fondo valle sino
a Buto (egli scrive: “in una
gara sorprendente e ….
commovente”). Solo per
trasportare il ceppo della
campana maggiore a spalle (tutto
un pezzo) occorsero 25 uomini.
Durante la fusione delle due
campane maggiori le forme
cedettero improvvisamente sotto
la spinta del metallo fuso e don
Casini scrive “non avvennero
disgrazie provvidenzialmente, ma
il colpo fu forte!”. Aveva
sognato una celebrazione solenne
per l’inaugurazione delle
campane, ma questo non fu
possibile perché parte della
popolazione volle anticipare la
posa delle campane sul campanile
(tra l’altro senza collaudo e
contro il suo suggerimento) e
lui si dolse pubblicamente di
quanti “per atavismo, tengono
per sistema di intralciare
l’opera del parroco, pure (falsi
e vili!) circondano il parroco
di complimenti. Per atavismo,
perché i medesimi o i loro padri
osteggiarono anche i miei
predecessori”. Comunque la
cerimonia (anche senza la
partecipazione delle maggiori
autorità) restò nei ricordi dei
partecipanti, madrina fu la
stessa madre di don Casini,
Maddalena, e lui, commosso,
pronunciò il discorso
inaugurale.
Il successivo collaudo fece
emergere dei difetti di
costruzione e i parrocchiani
riconobbero (anche se
tardivamente) che don Casini
aveva ragione quando voleva che
non si portassero sul campanile
le campane. Il sacerdote nei
suoi appunti cita per
l’occasione un proverbio toscano
“Col tempo e colla voglia
maturano la sorba e la
canaglia”.
Durante il suo ministero a Buto
battezzò 16 neonati e, lasciando
la parrocchia per recarsi in
Toscana per un corso di
predicazione, rassicurò il
vicario foraneo affermando che
“l’archivio è al giorno, tanto
per quello che riguarda lo stato
delle anime, quanto ogni altro
libro parrocchiale”. In effetti,
la precisione nella tenuta dei
libri parrocchiali è attestata
anche dallo stato delle anime,
l’elenco dei parrocchiani
compilato, in genere, durante la
benedizione pasquale delle case;
i dati più precisi che abbiamo
sulle famiglie di Buto sono
proprio quelli riportati da don
Casini.
Tratteggiata la figura veramente
interessante di questo parroco
proveniente dalla diocesi di San
Miniato, il vescovo emerito di
quella diocesi, Sua Eccellenza
Monsignor Edoardo Ricci, nativo
del paese di Pignona di Sesta
Godano, profondo conoscitore
della nostra e della storia
della diocesi di San Miniato
ricorderà il vescovo Ugo Giubbi,
figura altrettanto interessante,
che venne nel nostro paese,
chiamato da don Giovanni Casini,
ad istituire le Quarant’ore ed a
cresimare, il 9 agosto 1932, 41
ragazzi di Buto, nati tra il
1919 e il 1926, alcuni dei quali
sono ora tra noi
Sergio Gabrovec |