Relazione Dott. Sergio Gabrovec

 
 

Presentazione del libro “Buto in cammino”
 

 

A nome del Comitato organizzatore delle celebrazioni per il trecentocinquantesimo anniversario della parrocchia di Buto che festeggiamo in questi giorni, il cui presidente è Ivano Biasotti, porgo un caloroso saluto agli illustri ospiti che ci onorano con la loro presenza.
Oggi vogliamo ricordare il felice incontro di Buto con la Diocesi di San Miniato, con due suoi figli, il sacerdote don Giovanni Casini e il vescovo monsignor Ugo Giubbi.
Infatti, 75 anni fa, proprio nel mese di agosto, il vescovo di quella diocesi, venne a Buto chiamato dall’Economo Spirituale don Giovanni Casini.
Questo sacerdote era nato il 19 aprile 1876 a Castelfranco di Sotto, parrocchia proprio della diocesi di San Miniato, comune in provincia di Pisa. (Per curiosità ho approfondito le notizie su questa località. Il paese, situato tra Pisa ed Empoli, fu costruito attorno all’anno mille dagli abitanti della zona per sfuggire ai contrasti tra Pisa, Lucca e Firenze, munendolo di fortificazioni e affrancando di gravami fiscali chi vi andasse ad abitare, da cui il nome Castelfranco.)
Don Casini, figlio di Francesco e di Maddalena Gazzini, fece il suo ingresso nella parrocchia di Buto il 5 novembre 1931.
Era il 32° sacerdote chiamato ad amministrare questa parrocchia dalla sua seconda autonomia.
Nel 1657, infatti, la parrocchia di Buto fu separata da quella del confinante paese di Costola da un decreto sottoscritto dal vescovo e conte di Brugnato monsignor Giovanni Battista Paggi. In questo periodo stiamo proprio festeggiando quella ricorrenza. Da quella data abbiamo una considerevole quantità di documenti, compresi i registri parrocchiali, che ci hanno consentito di ricostruirne la storia in dettaglio e di riportarla in un nuovo libro che abbiamo chiamato “Buto in cammino”.
Ho detto seconda autonomia in quanto la parrocchia di Buto sorse nel XII secolo e sino al XV godette della prima autonomia. Tracce di presenza del cristianesimo nella zona sin dall’ottavo secolo si trovano tra le pietre della Chiesa e del campanile.
Dal 1657 al 1931, 31 parroci precedettero, pertanto don Casini, e questo sacerdote, fu chiamato a Buto ad amministrare la parrocchia, provvisoriamente, in attesa della nomina del parroco titolare. Era stato preceduto dall’altro Economo Spirituale don Ismaele Ghio, ma soprattutto da don Giovanni Bertoni, che aveva ottenuto nel 1923 l’elevazione della parrocchia a Prevostura e al quale è stata dedicata la strada che porta dalla Chiesa al cimitero.
Nonostante il breve periodo di ministero a Buto, due anni e otto mesi, don Casini incise fortemente sul paese, in quanto fu promotore di varie iniziative religiose e dimostrò una capacità organizzativa e decisionale veramente notevole.
Sotto il governo di don Casini, tra l’altro, fu ampliato il Camposanto e furono fuse le nuove campane e, come si legge nelle “Memorie”: “fu posta opera efficace perché Buto fosse dichiarata sede dei corsi preliminari, evitando così che i nostri giovani si dovessero recare a San Pietro Vara ogni domenica con evidente danno economico ed evidentissimo danno in fatto di pratiche cristiane”. Egli istituì la pratica del primo venerdì di ogni mese in nome del SS. Cuore di Gesù; e la Messa da celebrarsi il primo lunedì di ciascun mese per le anime del Purgatorio nella nuova cappella del cimitero.
La sua forte personalità, che gli creò delle difficoltà da parte di alcuni parrocchiani, emerge dalla lettura delle Memorie e in particolare in occasione dei lavori per l’ampliamento del camposanto e poi in occasione della fusione delle 5 nuove campane avvenuta nel 1933 sul piazzale antistante la Chiesa.
Trovato il cimitero in deplorevoli condizioni e la pratica burocratica iniziata dal suo predecessore ancora giacente negli Uffici del Comune di Varese Ligure, don Casini volle scendere subito ai fatti. Egli scrive “la domenica successiva alla mia venuta dissi al popolo che il camposanto doveva essere ad ogni costo messo in ordine”. Subito dopo “ne parlai al Podestà di Varese Ligure il quale approvò il progetto e diede il sussidio di 4.000 lire, poi divenuti 6.000 lire”. Quando iniziarono i lavori, don Casini chiamò il popolo alla raccolta e chiese la sua prestazione d’opera gratuita. Diede l’esempio adoperando il picco e la zappa e gli altri lo seguirono.
Per le nuove campane, don Casini scrisse al Duce una lettera (facendola sottoscrivere da tutti parrocchiani) chiedendo di poter disporre di cannoni residuati di guerra da fondere per ottenere il bronzo necessario per le campane; avuta risposta negativa (non vi era più materiale bellico disponibile) fece acquistare a Genova tutto il necessario; coinvolse emotivamente tutto il popolo di Buto, uomini, donne e bambini, che trasportarono il materiale a piedi dalla strada carrozzabile a fondo valle sino a Buto (egli scrive: “in una gara sorprendente e …. commovente”). Solo per trasportare il ceppo della campana maggiore a spalle (tutto un pezzo) occorsero 25 uomini. Durante la fusione delle due campane maggiori le forme cedettero improvvisamente sotto la spinta del metallo fuso e don Casini scrive “non avvennero disgrazie provvidenzialmente, ma il colpo fu forte!”. Aveva sognato una celebrazione solenne per l’inaugurazione delle campane, ma questo non fu possibile perché parte della popolazione volle anticipare la posa delle campane sul campanile (tra l’altro senza collaudo e contro il suo suggerimento) e lui si dolse pubblicamente di quanti “per atavismo, tengono per sistema di intralciare l’opera del parroco, pure (falsi e vili!) circondano il parroco di complimenti. Per atavismo, perché i medesimi o i loro padri osteggiarono anche i miei predecessori”. Comunque la cerimonia (anche senza la partecipazione delle maggiori autorità) restò nei ricordi dei partecipanti, madrina fu la stessa madre di don Casini, Maddalena, e lui, commosso, pronunciò il discorso inaugurale.
Il successivo collaudo fece emergere dei difetti di costruzione e i parrocchiani riconobbero (anche se tardivamente) che don Casini aveva ragione quando voleva che non si portassero sul campanile le campane. Il sacerdote nei suoi appunti cita per l’occasione un proverbio toscano “Col tempo e colla voglia maturano la sorba e la canaglia”.
Durante il suo ministero a Buto battezzò 16 neonati e, lasciando la parrocchia per recarsi in Toscana per un corso di predicazione, rassicurò il vicario foraneo affermando che “l’archivio è al giorno, tanto per quello che riguarda lo stato delle anime, quanto ogni altro libro parrocchiale”. In effetti, la precisione nella tenuta dei libri parrocchiali è attestata anche dallo stato delle anime, l’elenco dei parrocchiani compilato, in genere, durante la benedizione pasquale delle case; i dati più precisi che abbiamo sulle famiglie di Buto sono proprio quelli riportati da don Casini.
Tratteggiata la figura veramente interessante di questo parroco proveniente dalla diocesi di San Miniato, il vescovo emerito di quella diocesi, Sua Eccellenza Monsignor Edoardo Ricci, nativo del paese di Pignona di Sesta Godano, profondo conoscitore della nostra e della storia della diocesi di San Miniato ricorderà il vescovo Ugo Giubbi, figura altrettanto interessante, che venne nel nostro paese, chiamato da don Giovanni Casini, ad istituire le Quarant’ore ed a cresimare, il 9 agosto 1932, 41 ragazzi di Buto, nati tra il 1919 e il 1926, alcuni dei quali sono ora tra noi

                                                                                                                                                                                Sergio Gabrovec

 

 

 

  


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