Relazione Dott. Sergio Gabrovec

 
 

Presentazione del libro “Buto in cammino”
 

 

1657,Buto faceva parte della Podesteria di Varese, consolato di Caranza, sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Genova che da centodieci anni era subentrata al precedente dominio dei Fieschi.
Nelle tre località della Focetta di Lisorno e Consigliato vivevano una settantina di abitanti (nel 1608 sappiamo che a Buto vi erano 15 fuochi, cioè famiglie, che corrispondono, per convenzione, a 75 abitanti). In quel momento Genova e la Liguria erano sconvolte da un’epidemia di peste (era di pochi anni prima -1630- l’altra mirabilmente descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi). Non abbiamo notizie sulle conseguenze che la peste ebbe nel 1657 a Buto (si racconta che Chiavari, ad esempio, ebbe oltre mille morti e moltissimi anche a Varese) ma possiamo rilevare che qualche anno dopo la popolazione del paese era calata ad una sessantina di unità, forse proprio a causa di quella od altra epidemia.
Ebbene, proprio in quell’anno il vescovo e conte di Bugnato, monsignor Giovanni Battista Paggi firmò il decreto di separazione della parrocchia di Buto da quella di Costola. La distanza tra i due paesi non consentiva ai malati, agli anziani, di prendere parte alle cerimonie religiose che si celebravano a Costola. Già in precedenza si era stabilito che il parroco si recasse a celebrare anche a Buto ma gli abitanti volevano riconquistare l’autonomia della propria parrocchia. Riconquistare, perché la parrocchia di Buto, sorta probabilmente nel XII secolo, nel XV era stata unita a quella del vicino paese (il vescovo Filippo Sauli nel 1518 attestava l’unione tra le due parrocchie – probabilmente due parrocchie con un solo parroco che celebrava e viveva a Costola). Sin dalla sua costituzione (1133) Buto fece parte della diocesi di Brugnato, al confine con quella di Luni (Groppo era, infatti, parrocchia di quella diocesi). Assieme a Teviggio, Costola e Cavalanova, tutte capelle della pieve di Robiano (Godano) diocesi lunense, Buto passò quindi sotto la giurisdizione della nuova diocesi di Brugnato. Continuò pertanto il rapporto con l’Abbazia di Brugnato, diventata appunto diocesi, i cui monaci, che ammaestravano gli abitanti dei paesi nel doppio esercizio della religione e del lavoro agricolo, avevano costruito una cappella in località Focetta, lungo la strada che collegava la media valle all’Emilia.
Comunque, la presenza del cristianesimo nella zona si può far risalire al 7° o 8° secolo con l’esistenza di una piccola chiesa chiamata Cavantica, dalle cui rovine furono tratte le pietre utilizzate per la costruzione della Chiesa parrocchiale e del campanile.
Lo sviluppo del paese, ed in particolare delle frazioni antiche Focetta, Lisorno e Consigliato, è da far risalire alla sua posizione posta su di un’antichissima strada, ricordata anche dalla “Cronaca” dell’abate Antonio Cesena di Varese, che collegava le località della Riviera a quelle della pianura padana. I mercanti partivano carichi di sale, olio e vino e tornavano in Liguria carichi di grano. Ancora nel settecento il cartografo della Repubblica di Genova, Matteo Vinzoni, riportava Buto quale località posta su di una strada di collegamento con l’Emilia. Proprio alla Focetta, tra le case, era situata la Chiesa parrocchiale, in quanto l’attuale fu costruita probabilmente alla fine del cinquecento a scopo cimiteriale, in essa sino ai primi dell’ottocento venivano sepolti i defunti.
Il luogo ove è situata l’attuale Chiesa parrocchiale era completamente disabitato e la Chiesa, circondata da piante di castagno, era quadrata, più piccola dell’attuale, senza campanile e con l’ingresso sul retro, avendo l’altare rivolto verso oriente.
Dal 1658 i 38 parroci di Buto hanno diligentemente compilato i libri dei battesimi, dei matrimoni, dei defunti, annotato la composizione delle famiglie in occasione della benedizione della case, hanno riportato numerose notizie conservando la copia delle risposte rese periodicamente al proprio vescovo.
Le registrazioni dei 1.410 battezzati testimoniano il graduale aumento nel numero dei neonati a Buto, col massimo (oltre 400) nella seconda metà dell’ottocento. Complessivamente il numero dei maschi (52%) supera quello delle femmine (48%). Nella seconda metà dell’ottocento in tre anni si realizzò il maggior numero di battesimi (13) e il 1882 fu l’anno delle femmine, in quanto ne vennero battezzate ben 9. Nel 1944, in piena guerra civile, nessuna nascita. Dal 1951 ad oggi solo 16 battesimi si sono celebrati a Buto.
Qualche altra curiosità sulle nascite. Dai libri parrocchiali emerge una certa pianificazione delle nascite. Il 41 % dei parti avveniva nei mesi invernali, il concepimento avveniva di preferenza nei mesi primaverili. Si cercava di evitare alle madri, impegnate anche nei lavori agricoli, di partorire nei mesi di maggior lavoro. Anche i concepimenti erano probabilmente influenzati da periodo dei raccolti (minori nei mesi autunnali).
La forte mortalità neonatale e il timore che i neonati morissero senza battesimo e quindi non fossero liberati dal peccato originario e destinati al Limbo, luogo ove non era possibile la visione di Dio, suggerivano di battezzare immediatamente i nascituri, uno o due giorni dopo la nascita. Per questo motivo, siatematicamente dal 1800, le levatrici furono istruite per impartire il battesimo in casa, subito dopo la nascita, nei casi di pericolo per la vita del neonato.
Dal registro dei matrimoni sono emerse altre curiosità. I mesi preferiti dagli sposi erano settembre e ottobre, limitati dalle proibizioni religiose nei mesi di marzo e dicembre. L’età media degli sposi (esclusi i vedovi) si mantenne piuttosto costante, nella seconda parte dell’ottocento si abbassò notevolmente (24,5 anni per glisposi e 20,6 per le spose). Molte indicazioni curiose anche nel libro dei matrimoni. Ad esempio, nel 1850 un vedovo di 73 anni sposò una ragazza di 26.
Gli sposi provenivano in gran parte dai paesi vicini. Nei libri della parrocchia emergono soprattutto i matrimoni ove la sposa era di Buto e lo sposo di altri paesi, secondo le norme canoniche, ma si notano anche matrimoni tra sposi di Buto e spose di altri paesi che avevano ricevuto la dispensa dal proprio parroco.
L’aspetto più commovente che è emerso dai dati raccolti sui funerali è certamente l’altissima mortalità infantile, specialmente nel primo anno di vita.
Altro aspetto sorprendente è dato dall’età media dei defunti, esclusi i defunti di età inferiore a 10 anni, piuttosto elevata e costante tra il seicento e la prima metà del novecento. Il defunto di età più elevata (mio nonno materno) ha raggiunto la ragguardevole età di 105 anni ed è deceduto nel 1988, ma già nel 1736 una defunta raggiunse i 100 anni (circa).
Sino ai primi dell’ottocento i defunti erano sepolti in fosse comuni in Chiesa. Tale fatto testimonia l’importanza del legame che univa i vivi ai loro morti e contribuiva a tenere coesa la comunità, stretta attorno alla propria Chiesa. I francesi, per motivi igienici, proibirono la continuazione di tale usanza ed imposero la costruzione di cimiteri distanti dalla Chiesa e dalle case. Il primo defunto sepolto nel nuovo cimitero di Buto fu un ragazzo di 7 anni, nel 1811. Le autorità controllavano il rispetto delle norme. Ma ancora nel 1821, a testimoniare una certa resistenza verso le nuove regole, don Gio Batta Pietronave dichiarava che le tre sepolture all’interno della Chiesa erano state chiuse ma che “i defunti si seppelliscono ancora nella Chiesa per non poter alle volte portarli al cimitero, per causa di pioggia o altro tempo cattivo, perché è distante dalla Chiesa.”
L’evoluzione del numero di abitanti è strettamente connesso all’andamento delle nascite. Nei secoli è stato influenzato dalle epidemie, dall’adozione dei figli dell’ospedale (fenomeno importantissimo che caratterizzò gran parte dell’ottocento), dalle migrazioni (ad iniziare dalla metà dell’ottocento, specialmente verso l’Argentina e la California), dalle guerre (specialmente dalla 1° g.m.).
Interessanti notizie sui cognomi più diffusi a Buto. Nel seicento i cognomi presenti a Buto erano Biasotti, Ghiorzo (o Ghiorzi), Pietronave, De Nevi, Armanini, Perotti, De Benedetti, Figoni, Firenze e Gotelli. Tutti erano preceduti dalla particella de a significare “della famiglia di”.
Nel grafico sono indicati i cognomi più diffusi a Buto in questi trecentocinquant’anni.
Numerosissime altre notizie e curiosità sono riportate nel nuovo libro. La storia dei 38 parroci (tra questi emergono per la durata del loro ministero e per i loro meriti De Nevi Bartolomeo, Pietronave Giovanni Battista, Giovanni Taramaschi e Mario Perinetti). Vari sono i protagonisti individuati, come le balie, le levatrici, i figli dell’ospedale, gli emigranti, i soldati, ma soprattutto i vicini che vennero a Buto quali testimoni di matrimonio o padrini e madrine di battesimo a testimoniare il forte legame, di parentela ed amicizia, che univa i paesini dell’alta Val di Vara. In calce al libro è stato riportato l’elenco dei 254 cognomi che figurano nei libri della parrocchia. Ci si è limitati ad annotare la data della prima registrazione di quel cognome e la sintesi della nota di quella registrazione.
Spero di essere riuscito a dare un’immagine del libro, molto sintetica. Posso aggiungere un ringraziamento a tutto lo staff del sito di Buto che ha collaborato per la sua realizzazione e ai 58 compaesani che ne hanno permesso la stampa con i loro contributi a fondo perduto. Un ringraziamento particolare al parroco di Buto che ha creduto fortemente in questa iniziativa. Ricordo che l’offerta per l’acquisto del libro è totalmente destinata alla Chiesa di Buto.
                                                                                                                                                                                               Sergio Gabrovec

 

 

 

  


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