1657,Buto faceva parte della
Podesteria di Varese, consolato
di Caranza, sotto il dominio
della Serenissima Repubblica di
Genova che da centodieci anni
era subentrata al precedente
dominio dei Fieschi.
Nelle tre località della Focetta
di Lisorno e Consigliato
vivevano una settantina di
abitanti (nel 1608 sappiamo che
a Buto vi erano 15 fuochi, cioè
famiglie, che corrispondono, per
convenzione, a 75 abitanti). In
quel momento Genova e la Liguria
erano sconvolte da un’epidemia
di peste (era di pochi anni
prima -1630- l’altra
mirabilmente descritta dal
Manzoni nei Promessi Sposi). Non
abbiamo notizie sulle
conseguenze che la peste ebbe
nel 1657 a Buto (si racconta che
Chiavari, ad esempio, ebbe oltre
mille morti e moltissimi anche a
Varese) ma possiamo rilevare che
qualche anno dopo la popolazione
del paese era calata ad una
sessantina di unità, forse
proprio a causa di quella od
altra epidemia.
Ebbene, proprio in quell’anno il
vescovo e conte di Bugnato,
monsignor Giovanni Battista
Paggi firmò il decreto di
separazione della parrocchia di
Buto da quella di Costola. La
distanza tra i due paesi non
consentiva ai malati, agli
anziani, di prendere parte alle
cerimonie religiose che si
celebravano a Costola. Già in
precedenza si era stabilito che
il parroco si recasse a
celebrare anche a Buto ma gli
abitanti volevano riconquistare
l’autonomia della propria
parrocchia. Riconquistare,
perché la parrocchia di Buto,
sorta probabilmente nel XII
secolo, nel XV era stata unita a
quella del vicino paese (il
vescovo Filippo Sauli nel 1518
attestava l’unione tra le due
parrocchie – probabilmente due
parrocchie con un solo parroco
che celebrava e viveva a
Costola). Sin dalla sua
costituzione (1133) Buto fece
parte della diocesi di Brugnato,
al confine con quella di Luni
(Groppo era, infatti, parrocchia
di quella diocesi). Assieme a
Teviggio, Costola e Cavalanova,
tutte capelle della pieve di
Robiano (Godano) diocesi lunense,
Buto passò quindi sotto la
giurisdizione della nuova
diocesi di Brugnato. Continuò
pertanto il rapporto con
l’Abbazia di Brugnato, diventata
appunto diocesi, i cui monaci,
che ammaestravano gli abitanti
dei paesi nel doppio esercizio
della religione e del lavoro
agricolo, avevano costruito una
cappella in località Focetta,
lungo la strada che collegava la
media valle all’Emilia.
Comunque, la presenza del
cristianesimo nella zona si può
far risalire al 7° o 8° secolo
con l’esistenza di una piccola
chiesa chiamata Cavantica, dalle
cui rovine furono tratte le
pietre utilizzate per la
costruzione della Chiesa
parrocchiale e del campanile.
Lo sviluppo del paese, ed in
particolare delle frazioni
antiche Focetta, Lisorno e
Consigliato, è da far risalire
alla sua posizione posta su di
un’antichissima strada,
ricordata anche dalla “Cronaca”
dell’abate Antonio Cesena di
Varese, che collegava le
località della Riviera a quelle
della pianura padana. I mercanti
partivano carichi di sale, olio
e vino e tornavano in Liguria
carichi di grano. Ancora nel
settecento il cartografo della
Repubblica di Genova, Matteo
Vinzoni, riportava Buto quale
località posta su di una strada
di collegamento con l’Emilia.
Proprio alla Focetta, tra le
case, era situata la Chiesa
parrocchiale, in quanto
l’attuale fu costruita
probabilmente alla fine del
cinquecento a scopo cimiteriale,
in essa sino ai primi
dell’ottocento venivano sepolti
i defunti.
Il luogo ove è situata l’attuale
Chiesa parrocchiale era
completamente disabitato e la
Chiesa, circondata da piante di
castagno, era quadrata, più
piccola dell’attuale, senza
campanile e con l’ingresso sul
retro, avendo l’altare rivolto
verso oriente.
Dal 1658 i 38 parroci di Buto
hanno diligentemente compilato i
libri dei battesimi, dei
matrimoni, dei defunti, annotato
la composizione delle famiglie
in occasione della benedizione
della case, hanno riportato
numerose notizie conservando la
copia delle risposte rese
periodicamente al proprio
vescovo.
Le registrazioni dei 1.410
battezzati testimoniano il
graduale aumento nel numero dei
neonati a Buto, col massimo
(oltre 400) nella seconda metà
dell’ottocento. Complessivamente
il numero dei maschi (52%)
supera quello delle femmine
(48%). Nella seconda metà
dell’ottocento in tre anni si
realizzò il maggior numero di
battesimi (13) e il 1882 fu
l’anno delle femmine, in quanto
ne vennero battezzate ben 9. Nel
1944, in piena guerra civile,
nessuna nascita. Dal 1951 ad
oggi solo 16 battesimi si sono
celebrati a Buto.
Qualche altra curiosità sulle
nascite. Dai libri parrocchiali
emerge una certa pianificazione
delle nascite. Il 41 % dei parti
avveniva nei mesi invernali, il
concepimento avveniva di
preferenza nei mesi primaverili.
Si cercava di evitare alle
madri, impegnate anche nei
lavori agricoli, di partorire
nei mesi di maggior lavoro.
Anche i concepimenti erano
probabilmente influenzati da
periodo dei raccolti (minori nei
mesi autunnali).
La forte mortalità neonatale e
il timore che i neonati
morissero senza battesimo e
quindi non fossero liberati dal
peccato originario e destinati
al Limbo, luogo ove non era
possibile la visione di Dio,
suggerivano di battezzare
immediatamente i nascituri, uno
o due giorni dopo la nascita.
Per questo motivo,
siatematicamente dal 1800, le
levatrici furono istruite per
impartire il battesimo in casa,
subito dopo la nascita, nei casi
di pericolo per la vita del
neonato.
Dal registro dei matrimoni sono
emerse altre curiosità. I mesi
preferiti dagli sposi erano
settembre e ottobre, limitati
dalle proibizioni religiose nei
mesi di marzo e dicembre. L’età
media degli sposi (esclusi i
vedovi) si mantenne piuttosto
costante, nella seconda parte
dell’ottocento si abbassò
notevolmente (24,5 anni per
glisposi e 20,6 per le spose).
Molte indicazioni curiose anche
nel libro dei matrimoni. Ad
esempio, nel 1850 un vedovo di
73 anni sposò una ragazza di 26.
Gli sposi provenivano in gran
parte dai paesi vicini. Nei
libri della parrocchia emergono
soprattutto i matrimoni ove la
sposa era di Buto e lo sposo di
altri paesi, secondo le norme
canoniche, ma si notano anche
matrimoni tra sposi di Buto e
spose di altri paesi che avevano
ricevuto la dispensa dal proprio
parroco.
L’aspetto più commovente che è
emerso dai dati raccolti sui
funerali è certamente
l’altissima mortalità infantile,
specialmente nel primo anno di
vita.
Altro aspetto sorprendente è
dato dall’età media dei defunti,
esclusi i defunti di età
inferiore a 10 anni, piuttosto
elevata e costante tra il
seicento e la prima metà del
novecento. Il defunto di età più
elevata (mio nonno materno) ha
raggiunto la ragguardevole età
di 105 anni ed è deceduto nel
1988, ma già nel 1736 una
defunta raggiunse i 100 anni
(circa).
Sino ai primi dell’ottocento i
defunti erano sepolti in fosse
comuni in Chiesa. Tale fatto
testimonia l’importanza del
legame che univa i vivi ai loro
morti e contribuiva a tenere
coesa la comunità, stretta
attorno alla propria Chiesa. I
francesi, per motivi igienici,
proibirono la continuazione di
tale usanza ed imposero la
costruzione di cimiteri distanti
dalla Chiesa e dalle case. Il
primo defunto sepolto nel nuovo
cimitero di Buto fu un ragazzo
di 7 anni, nel 1811. Le autorità
controllavano il rispetto delle
norme. Ma ancora nel 1821, a
testimoniare una certa
resistenza verso le nuove
regole, don Gio Batta Pietronave
dichiarava che le tre sepolture
all’interno della Chiesa erano
state chiuse ma che “i defunti
si seppelliscono ancora nella
Chiesa per non poter alle volte
portarli al cimitero, per causa
di pioggia o altro tempo
cattivo, perché è distante dalla
Chiesa.”
L’evoluzione del numero di
abitanti è strettamente connesso
all’andamento delle nascite. Nei
secoli è stato influenzato dalle
epidemie, dall’adozione dei
figli dell’ospedale (fenomeno
importantissimo che caratterizzò
gran parte dell’ottocento),
dalle migrazioni (ad iniziare
dalla metà dell’ottocento,
specialmente verso l’Argentina e
la California), dalle guerre
(specialmente dalla 1° g.m.).
Interessanti notizie sui cognomi
più diffusi a Buto. Nel seicento
i cognomi presenti a Buto erano
Biasotti, Ghiorzo (o Ghiorzi),
Pietronave, De Nevi, Armanini,
Perotti, De Benedetti, Figoni,
Firenze e Gotelli. Tutti erano
preceduti dalla particella de a
significare “della famiglia di”.
Nel grafico sono indicati i
cognomi più diffusi a Buto in
questi trecentocinquant’anni.
Numerosissime altre notizie e
curiosità sono riportate nel
nuovo libro. La storia dei 38
parroci (tra questi emergono per
la durata del loro ministero e
per i loro meriti De Nevi
Bartolomeo, Pietronave Giovanni
Battista, Giovanni Taramaschi e
Mario Perinetti). Vari sono i
protagonisti individuati, come
le balie, le levatrici, i figli
dell’ospedale, gli emigranti, i
soldati, ma soprattutto i vicini
che vennero a Buto quali
testimoni di matrimonio o
padrini e madrine di battesimo a
testimoniare il forte legame, di
parentela ed amicizia, che univa
i paesini dell’alta Val di Vara.
In calce al libro è stato
riportato l’elenco dei 254
cognomi che figurano nei libri
della parrocchia. Ci si è
limitati ad annotare la data
della prima registrazione di
quel cognome e la sintesi della
nota di quella registrazione.
Spero di essere riuscito a dare
un’immagine del libro, molto
sintetica. Posso aggiungere un
ringraziamento a tutto lo staff
del sito di Buto che ha
collaborato per la sua
realizzazione e ai 58 compaesani
che ne hanno permesso la stampa
con i loro contributi a fondo
perduto. Un ringraziamento
particolare al parroco di Buto
che ha creduto fortemente in
questa iniziativa. Ricordo che
l’offerta per l’acquisto del
libro è totalmente destinata
alla Chiesa di Buto.
Sergio Gabrovec |